Luci e ombre del testo voluto dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini
Nuovo codice degli appalti, ripartenza per il paese?
La fiducia come leva per la ripartenza del Paese. Questo vuol essere lo spirito del nuovo Codice degli appalti voluto fortemente dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, Matteo Salvini. Non è un tema per specialisti, il Codice degli appalti è uno strumento di sviluppo per i territori, perché è il luogo in cui il pubblico e il privato si incontrano e in cui i soldi vanno spesi. Inoltre, è grazie ai contratti che si realizzano gli investimenti e le progettualità pubbliche. Un contratto che a detta di molti inserisce due ingredienti che cambiano la relazione tra le Pubbliche amministrazioni e i privati. Uno è la digitalizzazione delle gare. Dal prossimo primo gennaio tutte le amministrazioni dovranno fare le gare con delle piattaforme, è questo è un salto culturale. La digitalizzazione accelera le procedure, le rende più semplici, abbatte i costi e favorisce la trasparenza. Rende più semplice il lavoro dei Rup, consente di velocizzare le procedure e aumenta la concorrenza. L’altro ingrediente è la qualificazione delle stazioni appaltanti: l’investimento sulla qualità dei soggetti che devono fare le gare e la dotazione di mezzi per gli uffici gare.
Ma alcuni limiti ci sono. E sono quelli messi in evidenza dagli architetti che hanno sottolineato delle criticità, in primis sull’appalto integrato. Notando un'evidente sfiducia del Codice verso la centralità del progetto, aggiungendo che così la qualità delle opere non è assicurata e che, di conseguenza, si possono creare molti intoppi per il raggiungimento degli obiettivi legati al Pnrr. In premessa non vanno trascurati i numeri. Infatti, i concorsi di progettazione rappresentano una percentuale dell’ordine del 3% dell’ammontare degli affidamenti dei servizi di architettura e di ingegneria sul totale: occasioni minime, ma che riguardano un’attività che è un grande riferimento culturale. Il concorso è uno strumento nato a tutela dell’interesse della città e per promuovere una cultura del progetto di qualità. È, infatti, forse l’unico tra i metodi a disposizione della Pubblica amministrazione che garantisce al contempo trasparenza, meritocrazia e il perseguimento del massimo interesse pubblico nella qualità del risultato. Questa pratica è però anche preziosa e delicata, fondando il suo funzionamento sulla volontà dei progettisti di accettare con generosità la sfida, e di mettersi al servizio dell’interesse pubblico dedicando energie, creatività, competenze e tempo affinché possa essere individuata la migliore soluzione ai problemi che il progetto pone.
Il concorso non è un orpello di scarsa rilevanza, dicono gli ordini degli Architetti, ma una modalità per rilanciare la cultura urbana collettiva.
In tema, invece, di equo compenso, di particolare importanza l’intervento del viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, che ha espresso una posizione netta, affermando che esso va applicato al Codice dei contratti senza se e senza ma, dunque a tutte le prestazioni professionali svolte per conto delle Pa. Si è anche soffermato sul tema dei Rup (Responsabile unico del procedimento), al quale il Codice impone competenze diverse, che coinvolgono anche l’area giuridica e quella amministrativa. Per questo motivo diventano fondamentali i percorsi di formazione.
Sul punto è intervenuto il presidente del Consiglio nazionale ingegneri (Cni), Angelo Domenico Perrini. Secondo il numero uno degli ingegneri «la formazione deve essere fondamentale ai fini dell'esercizio della professione. Gli obblighi di formazione e il rispetto del codice deontologico, a nostro avviso, devono spingere il legislatore a far sì che tutti gli ingegneri che esercitano la professione siano iscritti all'Albo. È inaccettabile che ci siano soggetti obbligati ad aggiornarsi e a seguire il codice e altri no, come se un medico potesse esercitare senza essere iscritto all'albo».