Nuovi orizzonti per gli architetti: facilitatori per un real estate innovativo

Rigenerazione a impatto sociale. Homers ingegnerizza un nuovo format per case accessibili di proprietà

Paola Pierotti, PPAN
23. 九月 2020
Foto tratta dal profilo Instagram @homers.co

Architetto, quali sono stati i presupposti di questa vostra nuova sfida?

Registriamo una serie di parole chiave usate negli ultimi decenni nell’ambito della trasformazione urbana, tipo “comunità” o “riuso”, che sono state confinate in ambiti specifici: si interpella a esempio la comunità nelle iniziative di partecipazione o il recupero è spesso considerato il luogo dell’economia circolare. Troppo spesso però, non si mette a fuoco il potenziale enorme che ha una particolare condizione del mercato dove la domanda di casa in proprietà oggi fa fatica ad incontrare una risposta e si rivolge sostanzialmente al mercato dell’usato. Con evidente eccezione per il segmento del lusso che ha una sua dinamica del tutto autonoma. 


Quindi le vostre sono case di proprietà, per chi? 

È evidente il cambiamento della classe media del dopoguerra in classe media “riflessiva” e “creativa”, con una dotazione di capitale sociale decisamente superiore rispetto a quello che può mettere in campo in un’operazione immobiliare. Non combaciano i modelli di sviluppo e questa condizione, a mio parere, incrocia una peculiare situazione del nuovo millennio dove c’è un consistente patrimonio immobiliare, non performing, che non funziona più sul mercato. 
Intorno a questo nodo è nata Homers: un’alternativa, un’ipotesi nuova nata intorno a queste premesse. 

Foto tratta dal profilo Instagram @homers.co

Qualche dato?

Un complesso di 1.000 mq da trasformare in 12 unità abitative, spazi comuni e aree verdi, a due passi dal nuovo intervento di riqualificazione dell’area ex Incet e a 10 minuti in bici dal centro città, a 20 con i mezzi pubblici dal centro città. 
Oltre il cancello d’ingresso si sviluppa un complesso eterogeneo costituito da due edifici dalle caratteristiche costruttive diametralmente opposte, messi in comunicazione da un percorso verde. Il primo è un edificio industriale novecentesco dalle ampie vetrate che catturano la luce e che guarda verso l’esterno, il secondo è una cascina in mattoni ottocentesca che si sviluppa attorno ad una corte verde intima e domestica.


Non solo architettura, ma anche finanza. Siete partiti con un’impresa sociale.

L’architettura è un’arte costosa e richiede la costruzione di una finanza per essere possibile. Abbiamo constatato che in questi anni si è investito molto sul tema del godimento a titolo temporaneo, in un mercato liquido dove ha prevalso l’affitto, con forme ibride legate al co-living e altre forme flessibili di accesso alla casa con il pagamento di un titolo appunto temporaneo, come vale per il social housing. L’innovazione si è concentrata su questi temi, e dal dopoguerra la grande assente è rimasta la casa di proprietà: orizzonte, questo, che ci ha permesso di affrontare il tema coniugando finanza e impatto sociale. 
La nostra struttura poi si è evoluta adottando la formula della società benefit, per poter contare anche sull’aumento di capitale con quote significative da parte di investitori privati.

Foto tratta dal profilo Instagram @homers.co

Un progetto complesso che va oltre l’architettura. Chi c’è in campo?

Abbiamo lavorato alla costruzione di nuovi modelli, anche con il supporto di un acceleratore d’impresa com’è SocialFare di Torino o il laboratorio del Politecnico di Torino con Il professor Mario Calderini, per studiare insieme come la rigenerazione urbana e il riuso possano essere produttori di impatto sociale. Come la trasformazione di pezzi di città, possa anche essere trasformazione di pezzi di società. 
 

Homers promuove iniziative di piccola scala, ma ad alto contenuto creativo e tecnico, dove gli architetti diventano di fatto dei disintermediari del real estate. È una nuova frontiera del mestiere del progettista?

Il settore del turismo ci mostra come la sfida dei mercati contemporanei sia quella legata proprio alla disintermediazione. Avventurarsi in questo mondo ha pro e contro, per noi significa provare a dare sostanza ad alcune ipotesi di partecipazione, già anticipate ad esempio da Giancarlo De Carlo.

In sostanza, la possibilità della disintermediazione rende straordinariamente robusta un’operazione finanziaria perché anticipa la differenziazione del rischio di credito: spacchettandola, attraverso un gruppo solidale d’acquisto, si ottiene il trasferimento della parte più rilevante dell’operazione direttamente agli utenti finali, si abbattono i costi per le famiglie, si abbassa la soglia di finanza necessaria per sostenere l’operazione. Un modello che stiamo provando a ingegnerizzare.

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