Lo studio milanese ha vinto il concorso per lo Human Technopole Headquarters da realizzare nel cuore di Mind

Piuarch, la sfida di un’architettura che punta sul benessere e la ricerca medica

Paola Pierotti, PPAN
21. mei 2020
Campus, vista generale. Foto di Piuarch

La giuria nominata da Fondazione Human Technopole e Arexpo ha scelto il progetto dello studio milanese per dare vita ad una costruzione che sarà la sede principale dei laboratori scientifici. «Negli ultimi anni – raccontano dallo studio Piuarch – mettere la persona e il benessere della collettività al centro della progettazione è divenuto un topic cruciale, imponendo un nuovo approccio che si è sviluppato in buona parte sul concetto di relazione fra gli spazi, fra le persone. L’architettura non si occupa solo di edifici, ma anche di quello che viene tralasciato fra un edificio e un altro: le città e le persone. Ma come interpreteremo la socialità nel mondo post Covid? Come vivremo questi spazi urbani? Come vivremo fuori e dentro gli edifici? Noi – spiegano – abbiamo cercato di reagire concentrandoci sul nostro lavoro e sull’interpretare il nostro ruolo in questo mutato contesto. Crediamo sia necessario ripartire dalla socialità, un concetto così fragile in questo momento, ma che comunque andrà reinterpretato e compreso in qualsiasi nuova forma ci sarà concesso di viverlo». 
In queste settimane Piuarch si è aggiudicato il concorso internazionale per un polo destinato alla ricerca medico-scientifica. «Questa notizia è particolarmente significativa proprio per le grandi aspettative e senso di speranza che ha portato con sé, divenendo un punto di partenza per ripartire dopo l’emergenza. Il progetto del campus e tutto il MIND sono il simbolo di una città che riparte dall’innovazione e dalla ricerca medica, con la prospettiva di divenire un’eccellenza europea nel settore».

Campus, piazza centrale. Foto di Piuarch

Facendo qualche passo indietro, quali ragioni avevano spinto Piuarch a partecipare a questo concorso? 
È stata innanzitutto l’occasione per confrontarci nuovamente con l’area ex-Expo, dove già al tempo dell’Esposizione Universale avevamo realizzato due edifici, il Padiglione Caritas e il Padiglione Enel. Ci interessava verificare come poter intervenire qui a partire da premesse differenti: terminato il grande evento temporaneo, si trattava ora di progettare una costruzione permanente, parte di un più ampio quartiere in fase di sviluppo, il MIND, per l’appunto. Non solo, il programma richiesto per l’edificio offriva molti spunti di riflessione interessanti. Per progettare dei laboratori scientifici e garantirne la massima efficienza, è necessario dare una priorità assoluta all’aspetto funzionale, in maniera più stringente rispetto ad altre occasioni (il progetto di un museo, ad esempio). Questo vincolo, però, non deve comportare la rinuncia ad una soluzione anche architettonica del problema, dotata di una propria qualità spaziale e di una propria “poesia”. Naturalmente, abbiamo tenuto in conto anche le sperimentazioni contemporanee sulla diversificazione dei luoghi di lavoro e di produzione delle idee. 

Il DNA del vostro studio come si legge in questo progetto? 
Nello Human Technopole Headquarters si ritrovano molti temi ricorrenti della nostra produzione architettonica. Ad esempio, la compenetrazione tra il pieno dell’edificio e lo spazio pubblico, che lo modella e lo attraversa. È una soluzione simile a quella che abbiamo già messo a punto nel Business Center Quattro Corti di San Pietroburgo (2006-2010) o nel Porta Nuova Building di Milano (2006-2013). Più nello specifico, in questo progetto riproponiamo e approfondiamo una soluzione che era già presente nel nostro Padiglione Enel per l’Esposizione Universale del 2015. L’elemento portante, il vero cuore del progetto, è uno spazio fluido e continuo, che funziona come un luogo di connessione ed interazione. Nel suo percorso da parterre a piazza coperta, e da piazza coperta a giardino pensile, paesaggio in quota, questo spazio mette in connessione pubblico e privato, esterno ed interno, edificio e paesaggio. 
Non solo, prosegue qui, inoltre, la nostra ricerca sulla traduzione architettonica di un immaginario di riferimento di origine artistica. I frangisole che scandiscono le facciate non sono solo una componente tecnica di efficientamento climatico, ma anche un elemento linguistico, che definisce una partizione memore delle sperimentazioni dell’arte cinetica.

Campus, copertura verde. Foto di Piuarch

Come vi ritrovate nel panorama dell’architettura italiana contemporanea?
Vogliamo posizionarci certamente a debita distanza da qualsiasi “glamourismo” ed eccesso di protagonismo. Questo vale in ugual misura per i nostri edifici e per noi, come progettisti. Siamo lontani dall’architettura intesa come oggetto scultoreo. I nostri progetti ambiscono piuttosto a stabilire un legame con il loro intorno, non per mimetizzarsi, ma per costruire un dialogo tra l’esistente e il nuovo. In senso più lato, e anche oltre i confini della disciplina architettonica, crediamo in un approccio non omogeneizzante, che valorizzi la relazione rispettosa tra le diversità. Di fatto, è su questo principio che si basa la nostra modalità di collaborazione a quattro, come partner dello studio. Anche se abbiamo condiviso gran parte della nostra vita professionale, prima da Gregotti e poi come Piuarch, ciascuno di noi proviene da un background culturale e da un percorso di formazione specifico. 

Tornando al progetto, quali sono gli spazi principali di cui si compone lo Human Technopole Headquarters? 
Al di là degli spazi dei laboratori e degli uffici, importantissimi e impostati su criteri di massima ottimizzazione e flessibilità, la spina dorsale del progetto è composta da tre spazi principali, pubblici o collettivi. Al piano terra, un parterre attrezzato, in gran parte verde, ricuce le relazioni tra lo Human Technopole Headquarters e gli altri edifici del Campus. I percorsi che lo attraversano sono protetti da pensiline, mentre una topografia artificiale di piani inclinati delimita alcune aree di sosta, che abbiamo denominato anfiteatri. Attraverso l’edificio, una piazza coperta a tutta altezza si sviluppa dal piano terra alla copertura. L’abbiamo concepita come un “campus verticale” introverso, su cui affacciano tutti gli uffici e i laboratori, e che si conclude in un grande giardino pensile. Da questa terrazza, lo Human Technopole Headquarters si apre verso il suo intorno e la città. È in questi tre spazi, disposti in una sequenza senza soluzione di continuità, che si realizza al meglio la vocazione di questa architettura alla trasparenza e all’interazione. 

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