Una scuola a Verona e due progetti in Francia. Responsabilità e generosità, il punto di vista dell’architetto

Atelier(s) Alfonso Femia, concorsi vinti e nuovi ingredienti per il futuro post-Covid

Paola Pierotti, PPAN
27. 4月 2020
© Atelier(s) Alfonso Femia & Diorama

Ci si attende azioni capillari su tutto il territorio, per fare in modo che la crisi economica e l’esigenza di prendersi cura del futuro del nostro Paese abbia la priorità, attraverso azioni concrete su infrastrutture, città, scuole e luoghi della formazione, spazi pubblici e residenze, in maniera responsabile e generosa». Alfonso Femia fondatore dello studio Atelier(s) Alfonso Femia fa un punto traguardando il post-pandemia, in considerazione del fatto che «il virus ci ha reso nudi e fragili a tutti i livelli e in tutte le parti del mondo. Agire su piani diversi – spiega – significherebbe essere in malafede, esprimendo un totale disinteresse verso la comunità, la società collettiva, il futuro».

Architetto Femia, che ruolo e responsabilità hanno quindi i singoli?
«Tutti devono poter contribuire ognuno con il proprio ruolo, affermando ancora una volta che sempre di più i problemi, le volontà, i desideri e i sogni si realizzano in maniera interdisciplinare. Ormai non possiamo tenere fuori dal tavolo di progetto l’ambiente, il clima e la materia fondativa di ogni territorio, come l’acqua. Siamo tutti colpevoli, pertanto tutti dobbiamo rinascere. Più tutto ciò avverrà coralmente, più saremo in grado di immaginare e avviare un nuovo Rinascimento responsabile e generoso».

E il progetto?
«Sarà lo strumento per dialogare e costruire il mondo del futuro, tutti insieme».

© Atelier(s) Alfonso Femia & Diorama

Spostandoci sul vostro lavoro, Atelier(s) Alfonso Femia si è da poco aggiudicato tre concorsi per una scuola in Italia e due complessi in Francia. Pensa che questi progetti siano già pronti ad entrare nel futuro post-pandemico?
Abbiamo vinto in queste settimane la gara per una scuola secondaria di 1° grado a Legnago, in provincia di Verona, in Italia, e due progetti in Francia. Si tratta del CYBER-SPACE, uno spazio polifunzionale e un centro di ricerca di nuova generazione a Rennes/Cesson-Sevigne, e del MAPI, un centro di formazione e ricerca presso l’Università di Annecy. Quando si affronta un concorso bisogna avere il coraggio di rispondere alle richieste, spesso estremamente pragmatiche, con una visione che sia in grado di soddisfare questi aspetti e insieme di immaginare e costruire nuovi mondi. Il progetto deve avere la capacità di anticipare l’evoluzione della società e delle esigenze, i desideri, le ambizioni della dimensione collettiva a cui ogni architettura deve aspirare». 

In cosa consiste il progetto di Rennes (Cesson-Sevigne)?
«Si tratta di un concorso privato ma, come spesso avviene in Francia, la committenza è in stretto dialogo con il pubblico che resta alla regia prendendo le decisioni sulle strategie urbane e sull’architettura. Nel campus produttivo di Cesson abbiamo pensato di inserire un nuovo edificio che fosse generoso verso quanto già realizzato, cercando di risolvere situazioni non risolte. Il piano terra sarà soprattutto un luogo interattivo, capace di poter ospitare con ritmi variabili nel tempo start up innovative e momenti di formazione e confronto. Una dimensione di permeabilità non solo visiva, ma attiva nel modo di concepirne sia l’uso attuale che l’evoluzione nel tempo.

Va considerato che il 50% degli impiegati ha meno di 30 anni e che la sensibilità alle sfide ambientali di questi utenti è in aumento. Gli spazi di lavoro devono essere in grado di soddisfare le loro aspettative per attirarli e consentire loro di essere produttivi. Riteniamo essenziale fornirgli una risposta ambiziosa in termini di qualità d'uso (benessere) e dell'ambiente (salute)».

© Atelier(s) Alfonso Femia & Diorama, Progetto di Rennes

Guardando agli edifici direzionali più in generale, visto che il vostro studio ne ha progettati e conclusi alcuni negli ultimi anni, qual è l’elemento di novità che ritiene di voler sottolineare? 
«Dove i progetti immobiliari tradizionali "terziari" offrono un confine formale e a tenuta stagna tra "città" e "ufficio", penso sia necessario aprire l'edificio, per collegare gli spazi pubblici con quelli privati».

In provincia di Verona, a Legnago, vi siete aggiudicati una scuola. Come si immagina un luogo nuovo per l’educazione?
«Per noi questo è il tema centrale da affrontare con coraggio e realismo perché la scuola è il primo luogo in cui una comunità si forma e costruisce il proprio futuro. Un progetto simile deve coniugare responsabilità e visione, rapporto con il tempo e senso di appartenenza, dimensione reale e immaginaria legata alle nuove generazioni che la vivranno e che in quei luoghi di formazione e incontro costruiranno una parte importante della loro vita. A Legnago, con un progetto di sostituzione edilizia, il tradizionale complesso scolastico si trasformerà in un luogo collettivo direttamente connesso al circuito ciclo-pedonale lungo il canale e che dà l’accesso all’edificio, accogliendo le famiglie e i ragazzi. Tra gli elementi caratterizzanti il progetto ci saranno la corte aperta, la loggia sul paesaggio, gli orti e la presenza dell’acqua che diventa parte integrante del progetto, anche in funzione educativa. E poi il paesaggio, con la natura che permea gli spazi del costruito. Altro tema importante, come per ogni nostro progetto, è la materia. Questa racconta il tema dell’immaginario, dialoga con la luce e vuole creare un edificio che sappia parlare ai ragazzi nel tempo».

© Atelier(s) Alfonso Femia 

Ancora in Francia un paio d’anni fa avevate vinto il concorso per un hotel del futuro, a che punto è? Quali i prossimi passi?
«Il progetto ha seguito una fase di messa a punto sull’impianto urbano e ora stiamo aspettando la fase successiva che, attualmente come tutti i grandi progetti urbani in Francia, pensiamo possa avere scenari diversi o di rallentamento o di eventuale accelerazione. Non è possibile prevederlo oggi, visto l’impatto economico del Covid-19 a livello internazionale, soprattutto per un progetto che ha come cuore l’ospitalità, il tempo libero, gli spazi per la musica, la cultura, lo sport». 

Dalle scuole, agli uffici, agli hotel. Quali nuovi ingredienti il vostro studio inserirà nella progettazione post-Covid?
«La parola d’ordine sarà per noi sempre “generosità”. Vogliamo trasformare il progetto in un atto dove l’atteggiamento “non dobbiamo perdere tempo” va riletto in “dobbiamo prenderci del tempo”. Generosità negli spazi di relazione, nel ripensare gli spazi collettivi, anche quelli di servizio, nella convinzione che sia necessario invertire il paradigma di esclusiva funzionalità. Dobbiamo smettere di costruire isole, che sono sempre frammenti, anche quando di qualità. Come diceva Peter Sloterijk nel libro Spheres III, “le isole sono l’inverso dell’habitat”, pertanto non si tratta più di collocare un edificio dentro l’ambiente, ma di installare, creare, realizzare un ambiente nell’edificio, nelle sue diverse parti».

Concretamente?

«Bisogna ridiscutere le regole con cui si è ragionato fino ad oggi per alcune funzioni fondamentali della città (scuole, spazi pubblici, accessibilità, infrastrutture, residenze), ridiscuterne parametri, rapporti tra gli spazi, e ridare importanza a quelli aperti alle diverse dimensioni. Sarà non solo nostro dovere, ma anche necessità ragionare sempre considerando tre livelli: territorio, città e architettura. Ogni azione, infatti, è strettamente connessa, anche la più piccola. Abbandonare il cinismo e l’ipocrisia con i quali, nel nome della “sostenibilità”, si pensano e realizzano edifici “dopati” e parti di città “asettiche”, che non hanno alcun buon senso e generosità nei confronti dei cittadini e della città stessa».

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