Intervista a Dario Trabucco, professore associato Iuav e Ctbuh

Grattacieli “ibridi”, la sfida degli architetti

Paola Pierotti, PPAN
23. giugno 2020
432 Park Avenue, New York, Rafael Viñoly. Foto tratta da 432parkavenue.com

Questo il tema dell’incontro organizzato da Guamari con il professor Aldo Norsa, che ha portato alla Triennale di Milano (in uno dei primi incontri pubblici, post Covid) gli architetti Stefano Boeri, Patricia Viel, Monica Tricario e Cino Zucchi. In rappresentanza dei costruttori è stato invitato Luca Guffanti, presidente di Ance Lombardia e per il real estate Manfredi Catella, ceo di Coima. Un’occasione per fare un punto su come costruire in verticale, con Milano sotto i riflettori da parte del Council of Tall Buildings and Urban Habitat (Ctbuh), rappresentato in Italia anche da Dario Trabucco, professore associato Iuav.

Trabucco, quando si parla di grattacieli, quali sono i nuovi paradigmi a scala internazionale? Quali le novità e le tendenze anche sotto la lente del Ctbuh?
Negli ultimi anni, i nuovi edifici alti hanno integrato sempre più spesso spazi pubblici e di socializzazione pubblico-privata. E dove il clima lo consente, non di rado è prevista anche la ventilazione naturale. Il virus ci ha insegnato che questo tema dovrà essere rafforzato, sia per le residenze che per i luoghi di lavoro. 
Non solo, lo stesso “bosco verticale” di Stefano Boeri privilegia la presenza di terrazzi e di elementi che richiamano sostenibilità ed ecologia: questo tema rimarrà forte nella progettazione architettonica, soprattutto per il dopo-pandemia. Per questo progetto, l'architetto - insieme al suo team - è stato nominato "pioniere della Biodiversità" dal Green Building Council degli Stati Uniti con il Certificato di Professional Leadership "per l’impegno profuso nella trasformazione dell’architettura come sfera della vita grazie ad un design attento alla biodiversità naturale e per la visione nei progetti di una città futura sostenibile e accessibile a tutti".

Bosco verticale, Milano, Stefano Boeri Architetti. Foto di Dimitar Harizanov

Da New York con il 432 Park Avenue, il più alto grattacielo residenziale firmato dall’uruguaiano Rafael Viñoly, alle numerose verticali in progettazione e costruzioni nell’Est del mondo. Storie di progetti e cantieri che vedono in campo una task force di competenze interdisciplinari. Ma qual è il ruolo degli architetti? 
A loro si chiede di trasformare delle esigenze in progetti e poi in edifici. Risposte fattibili e sostenibili anche dal punto di vista economico: è inevitabile che il tema dei costi sia centrale considerando il ruolo degli sviluppatori e le ricadute sull’utenza finale. Ben vengano quindi soluzioni innovative di ricerca, progetti sperimentali con spazi ibridi, ma sempre attenti al business plan.

Con il Covid-19 il mondo si è fermato e ne hanno risentito particolarmente i business district. Quali scenari possibili?
L’appello del sindaco di Milano Beppe Sala, con un invito a tornare a lavorare abbandonando lo smart wokring, ritengo sia dettato anche dalla necessita di riportare vita in quei grandi centri del terziario, che nel lockdown sono rimasti abbandonati dai tradizionali utenti.

Ecco che ancora una volta è il mix di funzioni a venire in soccorso: massimizzare gli spazi, evitando l’autogol. 
Le difficoltà subite da zone come quelle dei Docks a Londra o di tante altre aree urbane che si svuotano alle 17 e si ripopolano, congestionandosi, alle 8.00 del giorno dopo, devono essere di lezione.

Integrare luoghi del lavoro con altri per l’abitare, aree per lo svago con altre per riunioni è diventato un leit motiv nelle visioni dei developer più illuminati, che non escludono il tema della socialità nel set di tematiche da inserire nei nuovi insediamenti o in quelli da rigenerare.

Il ruolo degli architetti italiani?
Far vivere gli spazi 24 ore su 24, 365 giorni all’anno è un must per l’urbanistica italiana. E gli architetti italiani possono davvero esportare questo loro know how.

Torre Generali, Milano, Zaha Hadid Architects. Foto di Emiliano Fanti

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