Grifantini, socio fondatore dello studio nato nel 2006, ha vinto il premio In/Architettura 2020
Da Londra a casa (in Puglia), e poi nuove rotte verso l’Africa per Dos Architects
È il luogo dell’anima, poi sono arrivati premi e riconoscimenti. Perché dove c’è amore e sentimento, il progetto vince. È la storia de La Torre Bianca a Gagliano del Capo, piccolo paesello in provincia di Lecce, ma è soprattutto la storia di un italiano che da quasi vent’anni fa l’architetto a Londra e che semina successi in tutto il mondo.
Lorenzo Grifantini, socio e fondatore insieme a Tavis Wright, dello studio Dosarchitects, racconta la sua storia e le sue aspirazioni. «La Torre Bianca a Gagliano del Capo è stato un lavoro bello e profondo, perché doveva essere il rifugio della mia famiglia e dei nostri amici. È stato un modo speciale per interpretare un pensiero nuovo: inserirsi in un contesto storico, identitario, fatto di tradizioni e passato, ma con un linguaggio moderno», racconta Grifantini. Mai cercare di mimetizzarsi, di scimmiottare un alfabeto già esistente, il cuore questo caso ha indicato la strada. «L’essere autentici, premia sempre. Così è stata apprezzata questa idea di Torre, alta 12 metri e di tre piani, che guarda il mare e che ricorda le vecchie fortificazioni saracene». Questo progetto ha vinto tra l’altro il premio In/Architettura 2020, promosso da in/arch e ANCE, nella categoria “nuove costruzioni”.
Con sede a Clerkenwell, East London, Dosarchitects è nata nel 2006 con la vittoria di un concorso per la costruzione di una torre di 90 metri quadri a Dubai. Da Dubai a oggi, tanta strada, passando per la vecchia Europa e arrivando oggi al mercato africano. «Oggi è cambiato il mondo, ma qui in Inghilterra era già cambiato con la Brexit. Gli studi, i professionisti si sono dovuti organizzare, hanno rivisto gli schemi e trovato nuove strategie, alleggerendosi. Abbiamo dovuto rivedere il work-flow, la maniera in cui abbiamo lavorato fino ad ora. Ma il cambiamento era già in atto. Recentemente, a tale proposito, su Dezeen è stato chiesto a Norman Foster: “Cambieranno le nostre città con il Covid?”. Lui ha risposto secco: “No!”. Così Londra cambia come sempre, come cambiano velocemente tutte le grandi città del mondo».
Questa volta ha colto l’occasione per rifarsi il look, per ripulirsi: manti stradali rifatti ovunque, le linee del gas risistemate, nuove piste ciclabili. La città ha accelerato le trasformazioni già in atto: i luoghi del commercio e di aggregazione, gli spazi. Così, il mercato. Le difficoltà sono state tante, ma ora vediamo la luce e un futuro migliore. Si respira ottimismo. Abbiamo dovuto guardare oltre, dove ci sono piani di lettura diversi e immaginari nuovi. Come dal campo coltivato del Salento è nata una scintilla, questa tragedia ci ha insegnato a guardare altrove». E anche il business sta guardano fuori dall’Europa: all’Africa, ai Paesi Arabi. «Come il progetto che sta nascendo in Oman, a Muscat. È un complesso residenziale di 20mila metri quadrati con 114 appartamenti e una grande corte interna contenenti varie facilities (parco, playgrounds, pool, gym etc.). Per rendere la facciata più movimentata e interessante ed evitare ripetizioni, abbiamo sviluppato 6 differenti tipologie di appartamenti. L’idea di base è di rimandare al carattere eterogeneo di una Medina Araba. L’edificio sarà costruito all’interno della fase 3 del masterplan Al Mouj già edificato al 70% e grande esempio di uno sviluppo sostenibile a cui l’Oman tiene moltissimo. L’edificio è in costruzione e sarà completato nel 2023». Progetti entusiasmanti che ci danno nuova linfa.
«Come in Abidjan, in Costa d’Avorio, il Green Golf Ivory Coast. Un nuovo sviluppo residenziale sostenibile, integrato, con alloggi di diverso taglio, tutti con i loro giardino privato. Ci saranno ampi spazi comuni: centri fitness, grandi giardini, piscine. Sarà una comunità per la classe media ivoriana che sta fiorendo. Ci siamo ispirati all’architettura modernista dell’Africa Occidentale e all’ambiente lussureggiante circostante».