Intervista con Simone Sfriso e Raul Pantaleo

L'etica dell'architettura di TAMassociati

John Hill
9. avril 2020
Ospedale chirurgico pediatrico di Entebbe, Uganda, progetto di Renzo Piano Building Workshop & TAMassociati (Foto: cortesia Emergency NGO)

TAMassociati è stato cofondato da Massimo Lepore, Raul Pantaleo e Simone Sfriso a Venezia nel 1996. Il loro motto, "Taking Care in Architecture", esprime chiaramente l’obiettivo dello studio di aiutare le comunità, utilizzando le risorse in modo responsabile e sforzandosi di creare begli capaci di fare la differenza. Vista la ferma e convinta posizione dello studio rispetto al ruolo dell'architetto nella società, il suo portfolio di progetti di architettura sanitaria in Africa e in Europa, e la loro presenza nel Nord Italia, abbiamo pensato di contattare TAMassociati per conoscere la loro visione sull’architettura in questi giorni di pandemia per il coronavirus. John Hill, caporedattore di World-Architects, ha parlato con i soci Raul Pantaleo e Simone Sfriso tramite Skype. A seguire riportiamo una trascrizione rieditata della conversazione.

"Taking Care", Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia 2016 (Foto © Andrea Avezzù)

Innanzitutto, come state e qual è la situazione in Italia?

Simone: In un certo senso siamo fortunati perché abbiamo iniziato a fare "smart working" molto tempo fa, occupandoci di progetti all'estero, in particolare nel continente africano e in Medio Oriente. Avendo anche tre diversi uffici - uno a Venezia, uno a Trieste e uno a Bologna - eravamo già abituati a lavorare con video-conferenze via Skype e ad attivare allo stesso modo la nostra rete di collaboratori, sia i nostri partners che le persone che lavorano con noi. Quindi non c’è stato nessun grande cambiamento nel nostro flusso di lavoro, per il momento.

La situazione in Italia è difficile, ma non così difficile qui a Venezia, e anche a Trieste e Bologna. Dobbiamo stare attenti; siamo tutti a casa e probabilmente resteremo a casa per un altro mese. Continuiamo con il nostro lavoro, ma con grande attenzione. Personalmente sono fortunato perché il nostro ufficio è a soli 700 metri da casa mia; ho il permesso di andare in ufficio in questa insolita condizione di una Venezia completamente vuota. Abbiamo 30 milioni di turisti all'anno, ma solo 40.000 abitanti. È una strana situazione.

Raul: La nostra organizzazione ha dimostrato di essere molto resistente in questa circostanza perché abbiamo sviluppato nel corso di molti anni una sorta di intelligenza collettiva nel nostro approccio creativo. Abbiamo molti strumenti per condividere la nostra creatività dato che lavoriamo a distanza da molti anni. Per gli architetti, a volte il flusso di lavoro può essere molto difficoltoso, ma per noi non è davvero cambiato nulla perché siamo abituati a fare brainstorming a distanza sui nostri progetti. Il fatto di avere una sorta di struttura satellitare ci aiuta molto in questo momento. Per il lavoro che stiamo svolgendo in questo periodo - stiamo lavorando con Arup a un concorso per un master plan in Ruanda - abbiamo messo sul tavolo la nostra esperienza di lavoro da remoto e di gestione di questo strano flusso di lavoro. Fondamentalmente stiamo lavorando in tutto il mondo ma da casa.

Devo dire che questa strana esperienza di stare a casa, di quarantena, ha dimostrato che la nostra organizzazione è molto moderna. Quindi ciò che sembra la nostra, non direi debolezza, ma marginalità in termini di organizzazione e approccio, è diventata cruciale negli ultimi anni. Il mondo ha bisogno di un grande cambiamento per muoversi verso un approccio etico ed ecologico. Quello che è successo dopo la Biennale del 2016 [TAMassociati ha curato il padiglione italiano, "Taking care - Progettare per il bene comune"] – ossia una crescente consapevolezza dell'approccio etico - sta dimostrando sempre di più in questo momento di essere la giusta direzione. Stiamo attualmente disegnando un ospedale, stiamo lavorando con un'organizzazione impegnata sul COVID, stiamo aiutando a progettare un ospedale di emergenza, ma non lo stiamo pubblicizzando. È fastidioso, devo dire, vedere come gli architetti si stanno promuovendo sfruttando questa situazione. Noi semplicemente lo facciamo. L'approccio etico è quello di allontanarsi dall'approccio commerciale.

Clinica mobile, 2014-presente (Foto: cortesia Emergency NGO)

Dite che state lavorando a nuovi progetti. Ricevete richieste di collaborazione o state attivando voi stessi i progetti?

Raul: Siamo nel flusso di lavoro. Sabato abbiamo ricevuto una telefonata per un ospedale di emergenza e ci hanno chiesto di dare un aiuto sul flusso di lavoro dei dottori - niente di speciale, solo un servizio. Tutte le nostre cliniche mobili stanno lavorando per il COVID; hanno lavorato per molti anni, sono in giro - perché eravamo lì. Ho visto molti architetti che promuovono progetti "smart"- blah, blah, blah, COVID questo e quello. Non voglio fare i nomi ma sono in giro. Se lo fai, fallo e basta. Non è necessario “markettizzarlo”.

Neppure io voglio fare nomi, ma recentemente in Italia c'è stata una proposta di ampliamento per gli ospedali da costruire con i container. Alla luce della vostra esperienza nell'uso di container in un progetto in Sudan, una proposta del genere per voi ha senso?

Raul: Le cliniche mobili sono già presenti sul mercato. L'esercito le fa da trent'anni. Tutte le situazioni di emergenza utilizzano cliniche mobili, non containers. Devi riadattare i containers, togliergli via tutto… mentre invece ne hai bisogno adesso. Non c'è niente da progettare, è lì, basta digitare "cliniche mobili" e avrai centinaia di esempi. Allora qual è il punto? È un problema di marketing, di architetti che vogliono salire sul palco. Ora è COVID, domani sarà uno tsunami, un terremoto, qualunque cosa. Mi piace il designer che progetta gioielli, che lo fa bene e in modo etico. Non deve atteggiarsi a "Wow, sto cercando di aiutare". Questa è una questione di etica del design.

In termini di design, chi merita un Compasso d'Oro sono questi ragazzi che hanno adattato queste maschere da snorkeling con una valvola.

Simone: Era una maschera da sub già sul mercato e nei negozi di articoli sportivi. E qualcuno ha avuto la buona idea di trasformare delle maschere economiche in qualcos'altro. È un'idea geniale. Ciò di cui Raul stava parlando con i container è che forse prima di fare qualcosa, magari puoi trovare qualcosa che è più conveniente, più reperibile e già sul mercato. Perché devi farlo? Abbiamo lavorato con container, ma in un contesto diverso, in Sudan per un complesso residenziale. Abbiamo deciso di usarli perché erano disponibili dei container a fine vita, quindi era l'approccio più conveniente. Ma la prima cosa da fare è chiedersi: “Esiste già qualcosa di disponibile? Posso fare qualcosa di meglio - o no? ” Altrimenti è solo pubblicità, come diceva Raul.

Raul: I container non sono economici. Siamo riusciti a fare qualcosa di economico perché li avevamo disponibili, non avevamo un'alternativa e la manodopera in Sudan è molto economica. Ma i container “smart” sulle riviste, quelli che chiamano a basso costo ... Questo è ciò che mi infastidisce di questa tendenza di impegno sociale in architettura. È positiva, ma dobbiamo essere realistici. Un buon design è un design che affronta la realtà. Sfido un team a progettare una casa che costa $ 100 al metro quadrato. È difficile, ma è una sfida, se vuoi essere realmente impegnato. Questa dovrebbe essere l'occasione per sottolineare l'idea che, se vogliamo agire ed essere presenti, dobbiamo essere ancorati alla realtà. E la realtà sono anche le risorse, e le risorse sono anche il denaro. La maschera fornisce un ottimo esempio: è un ottimo design che utilizza pochissime risorse.

Metto sempre insieme etica, economia, ecologia. Hanno la stessa radice e gli stessi obiettivi. Spero che sia quello che possa accadere in futuro. Altrimenti continueremo come la solita solfa. Ma non c'è più tempo per la solita solfa.

Container medical compound, Sudan, 2009 (Foto © TAMassociati)

In base alla vostra conoscenza di come funziona il sistema di assistenza sanitaria in Italia, avete delle raccomandazioni per quegli architetti che vogliono davvero aiutare?

Raul: In termini di emergenza, il nostro ruolo di architetti è davvero marginale. L'ospedale che hanno fatto all'interno della Fiera di Milano è una bella sorpresa; qualcuno lí si è proeccupato del design? Fondamentalmente, in questi casi il ruolo principale è quello dell'ingegnere. Gli architetti hanno una sfida da affrontare, ma inizia prima. Forse a partire dall'università, dobbiamo costruire una nuova generazione di architetti che siano in grado di far parte del processo. Ma ora no, non facciamo parte del processo decisionale.

Forse non tutto è consumo; ci sono cose che non sono oggetto di consumo. Quindi penso che dovremmo fare un passo indietro, essere più silenziosi, stare più attenti a ciò che diciamo, usare la parola sostenibilità in modo corretto. È esattamente il contrario di ciò che sta accadendo. La prossima crisi ci costringerà a comportarci in questo modo; non ci sarà tempo per il marketing, né spazio per un design sostenibile che costa il doppio. Le risorse saranno inferiori, la questione non si pone. Dovremmo essere preparati. Noi siamo preparati, non è una novità per noi.

Simone: Dobbiamo tornare all'idea che il lavoro dell'architetto sia un servizio alla società. Viviamo in questa condizione molto difficile di vulnerabilità condivisa. Non mi piace davvero dire che una crisi è un'opportunità - odio questa definizione perché una crisi è solo una crisi - ma dobbiamo imparare a fare le cose in modo migliore dopo una crisi. Dall'altro lato - come architetti e designers - dobbiamo lavorare su progetti che siano modelli responsabili per ridurre i consumi e perseguire un'idea di adeguatezza, in termini di utilizzo dei materiali, relazione con i luoghi e le esigenze del contesto sociale in cui siamo chiamati a lavorare. Penso che per il futuro questo sia davvero importante, per noi come architetti e designers responsabili.

Dal mio punto di vista dobbiamo stabilire una connessione tra giustizia ambientale e giustizia sociale. Raul stava parlando del nostro ruolo di architetti. Forse è un ruolo marginale, ma non dobbiamo dimenticare l'importante compito di progettare la bellezza. Dovremmo dargli una parola appropriata. Bellezza significa appropriatezza. C'è una bella citazione di Giancarlo De Carlo, un maestro, che dice che la bellezza è lo scopo del design, ma ciò che è veramente importante è il processo che ti porta a produrre bellezza. Possiamo leggere la bellezza in termini di necessità, adeguatezza, risposte ai bisogni dei luoghi e delle comunità.

La casa di Altromercato: nuova sede per il commercio equo in Italia, in corso (Immagine © TAMassociati)

Per quanto riguarda il lavoro in Africa, c'è la convinzione che architetti provenienti da Europa, Stati Uniti e altri luoghi portino la loro esperienza in luoghi colpiti da conflitti, povertà, clima e così via. Ma sono curioso di sapere cosa avete imparato da quel contesto. Quali di quelle lezioni sono particolarmente rilevanti ora?

Raul: Quando abbiamo iniziato a lavorare in Africa nel 2004, abbiamo avuto l'idea di condividere le nostre conoscenze, di aiutare i poveri. È parsimonia. Se lavori in un contesto di guerra, in estrema povertà, hai pochissime risorse, tempo, tutto. Quindi il design è chirurgico: una scelta, un colpo, dritto al punto. Hanno bisogno di un ospedale in due mesi, il budget è questo, il flusso di lavoro è quello, ecc. Quindi, con ciò impari come la creatività può fare la differenza: sta dando vita al progetto e al luogo. Questo approccio chirurgico è qualcosa che abbiamo portato nel nostro lavoro quotidiano in Italia. Ed ha avuto abbastanza successo. Non è diverso per noi progettare un ospedale in una zona devastata dalla guerra o un ufficio in Italia o Svizzera. È lo stesso approccio: risorse limitate, tempo limitato. Questo è qualcosa che abbiamo migliorato dopo molti anni e pensiamo che sia l'approccio giusto per il futuro.

Simone: Siamo stati molto fortunati. Lavorare nel Sud del mondo è stato un viaggio di andata-e-ritorno in cui abbiamo reimparato come essere architetti. Nel 2004 stavamo lavorando a due progetti. Uno era un quartier generale di una banca a Padova, qui in Italia. Era concepito come un manifesto di architettura sostenibile, quindi abbiamo avuto l'opportunità di lavorare con materiali naturali e ogni innovazione disponibile in architettura e tecnologia. Allo stesso tempo ci è stato chiesto di fare un centro operatorio cardiaco in Africa. In un certo senso l'obiettivo era lo stesso: un edificio di alta qualità ma semplice ed economico, sia in fase di costruzione che in fase di manutenzione (i costi di gestione facevano parte del progetto). Lavorare in quelle condizioni è stata una lezione in cui abbiamo imparato a ridurre i gesti, ridurre la materia, arrivando al vero nocciolo di un progetto. È una sorta di processo continuo di semplificazione, pur mantenendo un alto livello di qualità - nel Sud ma anche qui.

Ospedale Aga Khan, Kisumu, Kenya, in corso (Immagine © TAMassociati)

Non sono sicuro di avere una domanda su questo, ma alcune delle storie più interessanti sul COVID-19 non riguardano gli ospedali in cui le persone sono malate, ma le case in cui le persone si prendono cura dei loro cari, dove effettivamente le loro case sono state trasformate in reparti di terapia intensiva. E le notizie mettono in evidenza l'importanza degli spazi pubblici, dove le persone possono ricrearsi ma mantenere le distanze.

Raul: Ora stiamo progettando quattro ospedali in aree devastate dalla guerra: in Yemen, Uganda, Ruanda e Kenya. Abbiamo lavorato un po’ con l’ebola e ora un po’ con il COVID-19 negli ospedali di emergenza. Il problema principale è quello di separare pulito e sporco. Lo faccio a casa. Quando esco, cambio le mie scarpe, i miei vestiti, i miei guanti ... e ho la fortuna di poterli tenere fuori. E ho una linea sul pavimento di ciò che è pulito, come in un ospedale.

Stavamo pensando di fare ora - ma forse sarà in futuro, poiché c'è bisogno di un team per prepararle - delle linee guida di base sulla salute, delle raccomandazioni di questo tipo. Potrebbero essere utili negli ospedali. I reparti di malattie infettive e i reparti similari sono pronti per il COVID, ma le aree di pronto soccorso non lo erano. Il grande disastro in Italia, e ora in altre parti del mondo, è che arrivavi al pronto soccorso ed infettavi l'intero reparto prima che sapessero che avevi il virus. Ora c'è il triage all'ingresso, ma è troppo tardi. Non si tratta di progettare ospedali, si tratta di fornire informazioni utili e dargli forma.

Simone: Ora stiamo affrontando un'emergenza sanitaria, ma le prossime emergenze saranno psicologiche ed economiche. Con il blocco abbiamo ridotto l'esposizione, ma abbiamo bisogno di più prevenzione, più spazi per la comunità, più luoghi in cui possiamo costruire un diverso tipo di consapevolezza pubblica e capacità per le comunità di affrontare le prossime crisi. Questo è l'altro compito che dovremo affrontare domani.

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